Early Days of Spring exhibition in Milan
La Tunisia era un inganno. Come una stanza messa in ordine un attimo prima di un’ispezione. Un Paese intero, un popolo intero, prigioniero di un’immagine. Quella di un grande, posticcio, villaggio vacanze. Appena un passo oltre la soglia di questi resort, stava un’umanità in attesa. Migliaia di giovani senza un futuro, centinaia di migliaia di tunisini derubati della normalità.
I ladri di futuro avevano molti nomi, ma una sola faccia: quella del presidente Zine El-Abidine Ben Alì, eletto per sostituire Habib Bourguiba, primo presidente della Tunisia indipendente.
Un inganno, ancora uno. Ben Alì si sbarazzò del vecchio leader che aveva guidato, alla fine degli anni Cinquanta, il Paese all’indipendenza facendolo passare per malato, con l’aiuto dei paesi europei, compresa l’Italia. Ben Alì, da quel giorno del 1987, non ha mai smesso di ingannare il suo popolo.
Non lo ha fatto da solo. La famiglia, prima di tutto, è stata la chiave di volta di un sistema di sfruttamento e appropriazione delle risorse pubbliche. Sua moglie, Leila Trabelsi. Un nome che diventa un marchio di infamia, un famiglia che si trasforma in clan, ritenendo un Paese intero come una proprietà privata. Sostenuti, in questo, dalla complicità della comunità internazionale tutta, abituata a trattare da statista chiunque possa essere utile alla causa economica e politica.
I tunisini, per anni, non hanno avuto scelta. Tacere, in primo luogo, soffocati da una delle censure più pervicaci del mondo. Lavorare, se fortunati, per la stagione estiva, prima di ritornare a un magro presente. Emigrare, se andava bene, in cerca di futuro e libertà.
Una bolla che, in un mese, è esplosa. Il sipario di questo inganno è stato, per sempre, strappato, come lacerato da un lampo, improvviso e fragoroso, come uno schiaffo.
Lo schiaffo che, il 17 dicembre 2010, HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/Mohamed_Bouazizi”Mohamed Bouazizi ha ricevuto da un vigile urbano. Mohamed, come migliaia di tunisini, vive ogni giorno sfidando la fame e la disoccupazione. Anche quel 17 dicembre, come tante altre volte, quella sfida la stava perdendo. La crisi economica mondiale fa male in Europa e in Nord America, ma in paesi come la Tunisia, diventa una bestia feroce. A Mohamed era stato sequestrato il suo carretto da venditore ambulante. Non poteva pagare il pizzo, non aveva guadagnato nulla. Era già successo, a Mohamed come a mille altri. Se non pagavi, eri finito. I soldi, però, quel giorno, Mohamed non ce li aveva proprio. Non ha resistito al sequestro, ha reagito, è stato umiliato e schiaffeggiato. Allora Mohamed non ha avuto più la forza di andare avanti. Si è dato fuoco davanti alla sede del governatorato di HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/Sidi_Bouzid”Sidi Bouzid, il suo paese, per protestare. È morto, poco dopo in ospedale. L’ennesimo sopruso, l’ultimo sopruso. Quello che Mohamed non poteva immaginare è che questa volta, quello schiaffo, l’ha sentito bruciare sulla pelle un popolo intero. Dieci, poi cento, poi mille, infine migliaia e migliaia di persone. Come ridestate, d’improvviso, prendendo coscienza della stessa rabbia, della stessa fame, dello stesso futuro rubato. Le armi della polizia non potevano bastare a fermare tutto questo. Come un’onda che ha travolto tutto, costretto il clan alla fuga, spinto i militari a schierarsi con la popolazione civile.
Il lavoro di Alfredo D’Amato non vuole raccontare questo, vuole raccontare uno sguardo. Curioso.
Uno sguardo che coglie altri sguardi, nelle strade di Tunisi, dove tutto ti parla di libertà, come a voler recuperare tutto il tempo perduto. Urlando la loro libertà. In tutti i modi possibili. Scrivendo su un muro, devastando la casa di un membro del clan, imbrattandone le mura di scritte di rabbia e vergogna, vendendo la propria merce senza sentirsi più costretto a pagare qualcuno, bruciando e distruggendo i vecchi simboli del potere.
Early Days of Spring raccoglie questo sguardo, senza dimenticare che ci sono vittime da piangere, almeno ottanta persone, che esiste una Costituzione da riscrivere, una lotta tra laici e islamisti e processi in corso. Ma non è questo lo scopo di questo lavoro.
Questi scatti ci invitano a guardare oltre il sipario. Non quando, come è accaduto in Tunisia, questo viene drammaticamente strappato dalla disperazione e dall’assenza di prospettive di un popolo. Questi scatti ci invitano a farlo sempre, tutti i gironi, in tutti gli angoli della Terra e a casa nostra. Perché l’inganno, quello, è sempre in agguato. Per tutti, non solo per i Mohamed Bouazizi di questo mondo. Forse perché, in fondo, possiamo essere tutti Mohamed Bouazizi. Ricordare questo ci aiuta a non farci ingannare e a non ingannare la libertà, non lasciando più i Mohamed Bouazizi di questo mondo da soli. (Testo di Christian Elia)